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mercoledì 7 gennaio 2015

quando si spara alla satira

Quando si spara alla satira non c'è più niente da dire.
Perché si colpisce l'unico e ultimo baluardo rimasto alla società occidentale, nei confronti di tutte le devianze "disumane" del potere politico e religioso.
La satira stigmatizza i mostri che abbiamo intorno, provoca il riso (che è la più rivoluzionaria delle espressioni umane) e ci induce a pensare che possa esistere una lettura alternativa della realtà.
E il primo mostro che la satira ci sbatte in faccia siamo noi, con i nostri tic, i nostri crimini quotidiani (ognuno per quello che può). 
Fin da piccoli, ridiamo dei nostri peti, perché siamo abituati a farne e ne conosciamo la puzza. L'autore satirico ci sventola sotto il naso quegli intestini putridi (che sono anche i suoi).

Insomma, per apprezzare e difendere la satira, c'è bisogno di una dote che oggi è sempre più rara: la capacità di ridere di se stessi. 
Cose che l'integralismo islamico jihadista ha sempre negato (insieme alla musica e a tutte quelle arti che potessero suggerire pensieri alternativi alle sue verità assolute).
Bisogna essere proprio dei baldanzosi e impavidi guerriglieri di Allah, per sparare ad un vecchio di 80 anni (Wolinski) e alle sue matitine colorate.
D'altronde, se gli uomini avessero avuto un minimo di senso del ridicolo e dell'autoironia, non ci sarebbe stata alcuna guerra (né santa, né profana, né preventiva).

 
Ha ragione Saverio Raimondo (qui il link al suo intervento su Minima&Moralia):
La satira non è eroica, anche quando è “coraggiosa” come quella di Charlie Hebdo; la satira è, molto più semplicemente, “stupida e cattiva” – come si definirono gli stessi Charlie Hebdo ai loro esordi. Punto.
Charb, Cabu, Tignous e Wolinski erano degli stupidi. E non si uccidono gli stupidi: è stupido.

 

Oggi, però, non c'è alcuna voglia di disegnare, di reagire facendo come farebbe un vignettista: giocare con le parole e le immagini sul filo di un pensiero laterale che è sempre intelligenza e creazione.
Magari lo faremo domani, ritemperando le matite e sovrascrivendo quel buco rosso al centro di un foglio bianco.
Immagineremo che un giorno tutti quelli che hanno ucciso in nome di un Dio arriveranno in Paradiso e si accorgeranno che ad attenderli non ci sono 100 vergini pro capite (quelle che non gliel'avrebbero mai data sulla Terra), ma solo una sfilza di matitine appuntite da infilarsi su per il culo.  
Confidiamo nel senso dell'umorismo del loro Dio.
Nel bene, come nel male, una risata ci seppellirà.


Tra le cose più intelligenti e condivisibili che ho letto:
http://www.internazionale.it/opinione/igiaba-scego/2015/01/07/non-in-mio-nome

http://baruda.net/2015/01/07/il-massacro-di-charlie-hebdo-e-il-triste-delirio-islamofobo/